NEUROMARKETING E COMUNICAZIONE

Ora, le cose stanno così: noi qui vorremmo scrivere di comunicazione e neuromarketing, però ci è venuto in mente Glauco. Quindi, in barba a tutte le regole di SEO copywriting, facciamo una piccola digressione. Che poi in realtà è una premessa, perché di comunicazione e neuromarketing parleremo fra poche righe e sicuramente sarà più facile capirci.

Un giorno, su un treno per Pesaro, incontrammo Glauco. Anzianotto ma in gamba, ci chiese di poter usare il nostro smartphone perché doveva farsi venire a prendere alla stazione ma il suo vecchio telefono si era scaricato. Ci invitò a comporre il numero per lui, perché non aveva mai usato uno smartphone. Seguì un’amabile chiacchierata in cui ci sentimmo in dovere, per non metterlo in imbarazzo, di rimpiangere i bei tempi andati quando nessuno dipendeva dalla batteria di un cellulare. Bei tempi del piffero!, ci interruppe Glauco (non disse esattamente piffero). “Il cellulare è un’invenzione straordinaria, tutto dipende dall’uso che se ne fa – sentenziò – Anche la vanga è un’invenzione bellissima, se usata per fare l’orto. Ma se la do in testa a qualcuno, fa già tutto un altro effetto”. Glauco era un grande. E noi passammo il resto del viaggio a guardare, zitti, fuori dal finestrino.

Ora, che cosa c’entra Glauco? Niente, però ricordatevi di lui mentre leggete le prossime righe.

Mai sentito parlare di neuromarketing? Fa un po’ paura, vero? Per chi, come noi, vive di parole, sfumature, sillabe sussurrate ed emozioni indotte, la semplice analisi della parola neuromarketing basterebbe già per scrivere un trattato. Ma non lo faremo in questa sede, per due motivi. Primo, l’obiettivo di queste righe è un altro; secondo, questo è il blog di ProgrEdit, che è un’agenzia di comunicazione e marketing, mica una rivista di neuroscienze. Vi pare che potremmo mandarvi in catalessi con un pippone sul neuromarketing? Però è importante sapere che esiste e scoprire che cos’è. Perché, obiettivamente, il termine neuromarketing un po’ inquietante lo è. Provate a chiudere gli occhi e a visualizzare il concetto. Ecco, che cosa vedete? Non è per farvi i conti in testa, ma secondo noi state visualizzando un corpo addormentato e collegato a mille cavetti. O forse un cervello con aree o circuiti in evidenza. Beh, nella sostanza non ci siete andati molto lontani, ma ora dimenticate tutto. Il neuromarketing è decisamente inquietante, tuttavia proviamo a guardarlo nella sua realtà, non negli effetti di un suo utilizzo diabolico (Glauco docet).

Per farla breve, molto breve, il neuromarketing è una disciplina scientifica a tutti gli effetti, che cerca di individuare i canali più adatti per rendere la comunicazione e la pubblicità le più efficaci possibili. Ancora più in sintesi – ci perdoneranno gli specialisti – il neuromarketing studia le reazioni del nostro cervello per influire sui nostri processi decisionali e farci acquistare questo o quel prodotto. Insomma, il neuromarketing aiuterebbe le aziende, i politici e tutti coloro che fanno comunicazione a… ingannarci (Glauco non direbbe esattamente ingannarci). Attraverso risonanze magnetiche ed elettroencefalogrammi, il neuromarketing cerca di capire come risponde il nostro cervello a determinate sollecitazioni emozionali.

Una miniera d’oro per i copywriter! E siccome noi siamo copywriter, la prima cosa che ci viene in mente è: che bello se quando 25 anni fa creammo la nostra prima campagna avessimo avuto a disposizione un simile strumento! Poi però, pensandoci bene, diremmo che no, non sarebbe stata una bella cosa, perché forse non saremmo mai diventati copywriter. Noi non siamo pagati per raggirare la gente (Glauco non direbbe esattamente raggirare). Noi, la gente, dobbiamo farla innamorare, dobbiamo farla sognare. E se per creare una campagna dovessimo sempre partire dai risultati di un’analisi di neuromarketing, non sarebbe amore vero e non sarebbero sogni. E allora? E allora ha ragione Glauco (ricordate la vanga). Il neuromarketing è una disciplina bellissima, se utilizzata nel modo corretto: ad esempio per indurre la gente a comportamenti virtuosi, per una comunicazione sociale efficace, per sgamare le strategie di certi movimenti politici lobotomizzanti. E anche per una pubblicità che cerchi di vendere un determinato prodotto o servizio, certo, perché no? Ma senza mai ridurre l’emozione ad una reazione indotta scientificamente. Le parole di un copywriting – e quindi della pubblicità tutta – partono da un cervello e raggiungono un altro cervello, ma hanno un senso soltanto se poi arrivano al cuore. Altrimenti, appunto, non sarà mai amore vero. E soprattutto Glauco ci darebbe una vangata in testa.

© ProgrEdit Comunicazione

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